L’origine del gioco degli scacchi è ignota: ci sono tante teorie che cercano di risalire alle origini, ma quello che appare certo, è che per arrivare alla creazione di un gioco tanto bello e complesso, ci sono volute generazioni e generazioni di lenta evoluzione, perché tale gioco si modificasse e perfezionasse fino a raggiungere gli scacchi che noi conosciamo attualmente. Secondo alcune ipotesi, i lontani progenitori degli scacchi sarebbero stati semplicemente i dadi: Davidson, nel suo libro “A short History of Chess”, pubblicato a New York nel 1949, ci fa l’esempio di due antichi persiani (la Persia è la regione dove si pensa si siano sviluppati per la prima volta gli scacchi) che appunto, giocando ai dadi, per annotare i punti ottenuti ad ogni giocata, tracciavano per terra una linea verticale o orizzontale, e vi segnavano tante tacche trasversali. A seconda del punteggio ricavato dal getto dei dadi, ogni giocatore spostava un contrassegno, che poteva essere una pietra o una conchiglia, contando tante tacche quante segnavano i dadi. Il primo giocatore che raggiungeva la tacca finale aveva vinto. Con l’andare del tempo, la partita giocata fino all’esaurimento delle tacche segnate in una sola linea sembrò troppo breve: si fissò un punteggio finale più alto, il che richiese una seconda linea parallela alla prima, con ugual numero di tacche; poi una terza, una quarta, e così via: a poco a poco il complesso delle linee intersecate delle tacche cominciò a delineare la tipica “grata” di una scacchiera. Questo sistema di segnare i punti faceva sì che talvolta uno dei giocatori, con un getto di dadi fortunato, raggiungesse una casa, o una tacca già occupata dal contrassegno dell’avversario. Per lungo tempo ciò non ebbe alcun particolare significato, ma venne il giorno in cui si stabilì che il gettone sopravveniente potesse scacciare il primo occupante, segnando la vittoria del secondo giocatore e la fine della partita. Dall’espulsione all’immagine della preda e della cattura il passo fu breve; il secondo giocatore ebbe diritto di appropriarsi del gettone avversario, e la somma dei gettoni servì a calcolare l’entità del guadagno del vincitore. A sua volta, il prelievo del gettone avversario evocò naturalmente il concetto di tributo pagato al competitore, e poiché l’idea di tributo era indissolubilmente legata all’idea di poteri regali, ogni avversario si considerò un Re: non solo, ma l’aspetto antagonistico della partita, unito all’idea di cattura del nemico, delineò il concetto di una guerra in miniatura, e due Re in guerra avevano naturalmente bisogno di due armate. La potenza di queste armate si modellò sul tipo delle armate indiane, e sui suoi tradizionali componenti: elefanti, carri da guerra, fanteria e cavalleria. La disposizione di queste armi era, nella strategia bellica indiana, rigidamente fissata: gli elefanti al centro, i carri ai fianchi, la cavalleria in mezzo e la fanteria davanti. Il Re, come capo dell’armata, era fermo al centro, ed era logico che fosse assistito da un consigliere, o primo ministro. In un primo tempo, questa concezione dei due opposti schieramenti come due armate non determinò alcuna distinzione nel movimento dei pezzi. Questi continuavano ad avanzare verticalmente secondo il getto dei dadi, e lo scopo della partita continuò ad essere il raggiungimento dell’ultima casa, o la cattura dei pezzi avversari. Solo in un secondo tempo dovette sembrare necessario differenziare le mosse a seconda della diversa natura dei pezzi, e i dadi servirono solo ad indicare quale pezzo dovesse muovere. A questo punto, il gioco dei quattro elementi (chatur = quattro; anga = parti di un tutto) era nato: l’ultimo passo fu la sparizione dei dadi.Dalla nascita del Chaturanga, al posto dei quattro elementi si inserirono quattro armate, e da qui una nuova evoluzione del gioco degli scacchi: tale gioco si giocava su una scacchiera di 64 caselle: tale scacchiera conteneva appunto quattro armate, disposte ai quattro angoli della scacchiera. Ognuno dei quattro giocatori controllava un’armata, e le due armate agli angoli opposti erano alleati. Ancora, le mosse erano effettuate a seconda del getto dei dadi.
La diffusione degli Scacchi
Le vie di diffusione del gioco furono molte e diverse: è probabile che gli stessi carovanieri del celeste Impero, che portavano in India le sete cinesi, ne siano spesso tornati con lo strano gioco del Chaturanga. Verso il sud, gli scacchi passarono agevolmente dall’India alla penisola di Malacca. Qui gli scacchi indiani (Chaturanga) si trasformarono nello “Shatranj” arabo. Verso l’occidente, ci pensarono gli Arabi a diffondere il “virus” degli Scacchi, quando nel 641 invasero la Persia. Gli Arabi portarono poi gli Scacchi in Europa, passando per lo stretto di Gibilterra e su per la penisola Iberica. Nel Medioevo, la diffusione del gioco degli Scacchi fu grandissima, e interi poemi si imperniavano sugli Scacchi, come quello intitolato “Les échecs amoureux, lungo ben 30060 versi! Gli Scacchi, insomma, erano di gran moda in quel periodo, e facevano distinguere chi ci giocava come un vero cavaliere.
Altre evoluzioni degli Scacchi
Fino al 1300 il gioco degli Scacchi, quale fu giocato nel mondo occidentale, non differì da quello arabo, le cui regole erano state integralmente importate. Divenuto tuttavia un gioco a scommessa, il gioco degli Scacchi secondo le regole arabe, parve troppo lento, soprattutto nella fase di sviluppo dei pezzi. Per questo furono inventati i cosiddetti "tabi", ossia delle posizioni di partenza con i pezzi già sviluppati, appunto per "scavalcare" la noiosa e lenta fase di sviluppo, passando direttamente al mediogioco. Verso il XIV secolo, gli Scacchi subirono delle variazioni: si cominciò a dare alle caselle una diversa colorazione, e si diede inizio ad importanti modificazioni nei movimenti dei pezzi, appunto per rendere il gioco più veloce: i pedoni poterono saltare due caselle alla prima mossa. Poi verso il 1500 venne introdotto l’arrocco, la donna poté controllare tutte le caselle sia orizzontali che verticali, e l’Alfiere tutte le case in diagonale del suo colore. Sempre verso il 1500 apparvero diversi trattati che parlavano di scacchi, in cui gli autori diffondevano le nuove regole, e esponevano già le prime aperture. L’opera più famosa di tutte fu quella scritta da Ruy Lopez de Sigura nel 1561, intitolata “Libro de la invencion liberal y arte del juego del Axedrez, muy util y prouechosa." Presto venne tradotta anche in Italiano. Nel suo testo, Ruy Lopez non si limitò ad indicare le mosse delle aperture (tra cui la Difesa che prende il suo nome), ma cercò di dare la spiegazione degli impianti di gioco da lui descritti, impartendo dei veri e propri ammaestramenti teorici.